L’Obiettivo che cambiò la storia: la fotografia e la Guerra del Vietnam

Cinquant’anni dopo la fine del conflitto in Vietnam, le immagini che ne hanno documentato gli orrori continuano a risuonare nella memoria collettiva con una forza inalterata. Non furono semplici testimonianze visive di un conflitto lontano, ma divennero veri e propri catalizzatori di cambiamento sociale e politico, trasformando profondamente la coscienza di una nazione.

Ogni anno, il 3 maggio, si celebra l’anniversario della caduta di Saigon, capitale del Vietnam del Sud, e della fine ufficiale della guerra del Vietnam.
La guerra, durata quasi due decenni, ha causato un’enorme perdita di vite umane, con stime che vanno da centinaia di migliaia a oltre tre milioni di vittime. L’impatto del conflitto continua a farsi sentire sia in Vietnam che negli Stati Uniti.

La caduta di Saigon: Il 30 aprile 1975, le forze nordvietnamite conquistarono Saigon, capitale del Vietnam del Sud, ponendo di fatto fine alla guerra e portando alla riunificazione del Vietnam sotto il regime comunista.

Impatto sul Vietnam: La caduta di Saigon segnò la fine del governo sudvietnamita e di decenni di conflitto. Segnò anche un periodo di transizione e ripresa, con molte persone costrette alla separazione delle famiglie o all’esilio.

Impatto sugli Stati Uniti: La guerra del Vietnam fu un periodo profondamente divisivo nella storia americana, lasciando un’eredità di disordini sociali e politici, oltre a una significativa perdita di vite umane americane.

Il primo conflitto televisivo diventa iconico attraverso la fotografia

Mentre la guerra del Vietnam è spesso ricordata come il “primo conflitto televisivo”, furono le fotografie statiche a incidere più profondamente nell’immaginario collettivo americano e mondiale. La fotografia, con la sua capacità di congelare un singolo istante carico di significato, riuscì a penetrare nelle coscienze in modo più duraturo rispetto alle immagini in movimento.

In un’epoca precedente a internet e ai social media, queste immagini viaggiavano attraverso riviste come Life, Time e Newsweek, entrando nelle case degli americani e creando un ponte diretto tra i campi di battaglia del Sud-est asiatico e i salotti dell’America suburbana. Per la prima volta nella storia, un conflitto veniva mostrato quasi in tempo reale ai cittadini del paese che lo conduceva.

I maestri dell’obiettivo che hanno cambiato la percezione della guerra

  • Larry Burrows: l’empatia in zona di guerra

La fotografia di Larry Burrows che ritrae il sergente d’artiglieria dei marine Jeremiah Purdie, ferito, mentre cerca di raggiungere un compagno colpito, incarna perfettamente l’umanità in mezzo all’orrore. Scattata nell’ottobre 1966 a sud della zona demilitarizzata, l’immagine è un potente promemoria della fratellanza tra soldati. Burrows, che avrebbe perso la vita in Laos nel 1971 quando il suo elicottero venne abbattuto, aveva una rara capacità di catturare la dimensione umana del conflitto.

Il suo lavoro, caratterizzato da un uso magistrale del colore in un’epoca in cui il bianco e nero dominava ancora il fotogiornalismo di guerra, ci mostra non solo la violenza dei combattimenti, ma anche i momenti di tregua, le espressioni dei volti, l’esaurimento fisico e morale. Il suo approccio empatico ha contribuito a umanizzare il conflitto agli occhi del pubblico americano.

  • Nick Ut: l’innocenza violata

Probabilmente nessuna immagine ha avuto un impatto maggiore dell’istantanea scattata da Nick Ut il 8 giugno 1972. La fotografia di Kim Phuc, bambina di nove anni che corre nuda lungo una strada dopo un bombardamento al napalm, è diventata l’emblema stesso dell’orrore della guerra. La vulnerabilità del corpo infantile, la disperazione sul volto e la corsa verso una salvezza incerta hanno scosso le coscienze globali.

Ciò che rende questa immagine particolarmente potente è il suo riassumere in un singolo frame l’intera tragedia del conflitto: l’innocenza violata, la sofferenza dei civili, l’indiscriminata brutalità delle tattiche militari. Dopo aver scattato la foto, Ut portò Kim in ospedale, salvandole la vita – un raro caso in cui il fotografo di guerra interviene direttamente sulla scena che documenta.

  • Marc Riboud: il potere della resistenza pacifica

In netto contrasto con le immagini dal fronte, la fotografia di Marc Riboud scattata durante una manifestazione anti-guerra a Washington D.C. il 21 ottobre 1967 cattura un momento di straordinaria potenza simbolica: una giovane donna che offre un fiore ai soldati con i fucili puntati. Questo scatto incarna la crescente resistenza al conflitto e il movimento pacifista che stava prendendo piede negli Stati Uniti.

L’immagine di Riboud rappresenta una narrazione alternativa: non la guerra lontana, ma il conflitto interno alla società americana, divisa tra sostegno alle truppe e opposizione a una guerra sempre più controversa. La giustapposizione della fragilità del fiore contro la minaccia delle baionette crea una metafora visiva che trascende il momento specifico.

  • Eddie Adams: l’esecuzione che sconvolse l’America

Forse nessuna immagine incarna meglio il potere della fotografia di alterare la percezione pubblica quanto quella scattata da Eddie Adams il 1 febbraio 1968. La fotografia dell’esecuzione sommaria di un sospetto Viet Cong, Nguyen Van Lem, per mano del capo della polizia sudvietnamita Nguyen Ngoc Loan, cattura l’esatto momento in cui il proiettile entra nel cranio dell’uomo.

Lo scatto, realizzato durante l’offensiva del Tet, rafforzò i dubbi sull’integrità morale degli alleati americani in Vietnam e, per estensione, sulla guerra stessa. Adams stesso avrebbe in seguito espresso rammarico per l’impatto della sua foto, sentendo di non aver catturato il contesto completo dell’evento. Questa tensione tra la verità di un singolo istante e la complessità più ampia rimane una questione centrale nell’etica del fotogiornalismo di guerra.

  • Tim Page e Don McCullin: la brutalità quotidiana

Le fotografie di Tim Page e Don McCullin offrono uno sguardo crudo sulla realtà quotidiana della guerra. L’immagine di Page che mostra l’evacuazione medica di un soldato ferito cattura la vulnerabilità dei giovani americani mandati a combattere, mentre lo scatto di McCullin di marine che trasportano un compagno durante la battaglia di Hue evidenzia la fratellanza nata dalla disperazione condivisa.

Entrambi i fotografi hanno adottato un approccio non ideologico, concentrandosi sulla documentazione onesta della realtà sul campo. La loro opera ci ricorda che, al di là delle grandi narrazioni politiche, la guerra è fatta di momenti di sofferenza, coraggio e perdita individuali.

L’impatto sulle politiche di guerra e sulla coscienza pubblica

A differenza dei conflitti precedenti, dove la propaganda governativa controllava strettamente le immagini che raggiungevano il pubblico, in Vietnam i fotoreporter godettero di un accesso senza precedenti al fronte. Questa libertà di movimento e la relativa assenza di censura permisero di documentare aspetti del conflitto che altrimenti sarebbero rimasti nascosti.

Man mano che le immagini di villaggi distrutti, civili uccisi e giovani soldati americani in bare avvolte nella bandiera apparivano sulle prime pagine e nelle riviste, il sostegno pubblico alla guerra cominciò a vacillare. La distanza emotiva che aveva permesso agli americani di considerare il Vietnam come un’astrazione geopolitica si dissolse di fronte alla cruda realtà visiva.

Le fotografie dal Vietnam non solo documentarono gli eventi, ma in molti casi li plasmarono. L’immagine di Kim Phuc bruciata dal napalm contribuì alla decisione di limitare l’uso di questa arma controversa. La fotografia dell’esecuzione di Eddie Adams alimentò i dubbi sulla credibilità dell’amministrazione Johnson e sulla moralità degli alleati americani.

L’eredità duratura: come la fotografia ha cambiato il modo di vedere la guerra

L’impatto della fotografia del Vietnam si estende ben oltre quel conflitto specifico. Questi scatti hanno fondamentalmente alterato il rapporto tra guerra, media e opinione pubblica. Le lezioni apprese dalle autorità militari portarono a un controllo molto più stretto dell’accesso dei media nei conflitti successivi, come testimoniato dal sistema degli “embedded journalists” nelle guerre più recenti.

Oggi, nell’era dei social media e degli smartphone, ogni conflitto genera un flusso costante di immagini, ma poche hanno la potenza iconografica degli scatti dal Vietnam. Quelle fotografie possedevano una singolarità e una concentrazione di significato che è difficile replicare nell’odierno panorama mediatico saturato.

Cinquant’anni dopo, queste immagini continuano a essere studiate, analizzate e ricordate non solo come documenti storici, ma come potenti opere d’arte che hanno contribuito a definire un’epoca. La loro persistenza nella memoria collettiva testimonia il potere unico della fotografia di guerra: non solo documentare, ma umanizzare, non solo informare, ma trasformare.

Come scrisse una volta il fotografo di guerra Robert Capa: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino.”
I fotografi del Vietnam si avvicinarono abbastanza da mostrarci non solo la guerra, ma anche la sua anima oscura, costringendoci a confrontarci con verità scomode che ancora oggi risuonano nelle nostre coscienze.

La fotografia non ha semplicemente documentato il Vietnam: ha definito come lo ricordiamo e, in ultima analisi, ha contribuito a cambiare il suo corso.

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